Riferimenti forti a cura di Enrico Crispolti
Per un confronto fra riferimenti forti, piuttosto che divagare su aspetti più o meno significativi della ricerca, più o meno salienti, e centrali o periferici, o quant’altro possa essere di volta in volta immaginato per rianimare in senso attuale la vecchia tipologia delle mostre esemplata sugli antichi “Premi”, questa XXXV edizione della rassegna d’arte contemporanea di Vasto intende insinuare una questione che si è ormai fatta d’incalzante attualità, tanto più all’ingresso nel nuovo secolo. Esattamente la questione della necessità urgente d’una revisione del quadro delle vicende della ricerca artistica in Italia nel secondo Novecento, liberandosi dagli schemi pregiudiziali di luoghi comuni ricorrenti nel quietistico perbenismo critico ufficializzato nell’ omologazione manualistica.
Le vicende trascorse nell’arte italiana in quel mezzo secolo appena oltrepassato è ormai infatti tempo di rivederle con sguardo liberato da pregiudizi imbonitori, rompendo strozzature innaturali ed estremamente dannose. Se i primi di tali decenni hanno fatto registrare una grande vivalità e varietà propositiva, fra l’articolata egemonia dell ‘Informale nei secondi anni Quaranta e Cinquanta, e poi la dialettica molto larga fra “neoavanguardie”, “pop art” e “neo-espressionismo” figurativo nei Sessanta, non v’è dubbio che i successivi, dopo i vitali smarginamenti oltre i limiti tradizionali del sistema dell’ arte verificatisi nei Settanta, in particolare negli anni Ottanta e Novanta abbiano fatto invece registrare un isterilirsi progressivo della scena sulle sole reiterate e protratte celebrazioni dell’ “arte povera”, da una parte, prima, e della “transavanguardia”, dall’altra parte poi, più brevemente. Sospinte diversamente ma parimenti, tali posizioni, a maggiore notorietà internazionale di mercato, così da pretendere di monopolizzare la rappresentazione della vicenda italiana (largamente riuscendovi).
Ora il loro isterilirsi creativo, evidentissimo fra anni Ottanta e Novanta, ha comportato un giudizio pesantemente negativo sull’arte italiana in sede internazionale, protratto per più d’un decennio. Come dire: se l’arte italiana negli ultimi decenni non ha dato altro che la breve vicenda creativa dell’ “arte povera” e il pochissimo che si salvi della avventura effimera e di scarsa consistenza della “transavanguardia” (affermatasi brevemente a suo tempo sul mercato profittando del vuoto di pittura lasciato dalle esperienze d’ “arte concettuale”), se ne deduce l’opinione plausibile quanto sviante di una sostanziale impotenza, più o meno d’un deserto, sulla scena dell’arte italiana in tali decenni.
Ma è tempo di rendersi conto, di riflettere e far conoscere che non è stato così. Che la scena dell’arte italiana nel secondo Novecento anche nei decenni in cui appare più conformisticamente sclerotizzata nel suo aspetto ufficiale in realtà risulta invece vitale, piena di sorprese e di capacità propositive originali. E’ ora di reagire: il re è nudo, l’egemonia di situazioni riduttive è venuta meno. Si è riaperto un più largo e variegato orizzonte, entro il quale è possibile ricercare vicende diverse. L’arte italiana nel secondo Novecento offre una varietà di proposizioni la cui vitalità si misura nel confronto aperto, che proprio quell’egemonia unilaterale ha così a lungo tentato di impedire, L’.”arte povera” cercando di impedire ogni margine liberatorio diverso, non oggettuale (ma Merz stesso ha finito per contraddirlo negli anni Ottanta, tornando ad essere pittore), ha prodotto opere significative ma il cui peso non può sul piano dell’originalità creativa monopolizzare la scena a danno di opzioni del tutto diverse. La “transavanguardia” optando per una figurazione neoespressionista apparentemente senza radici, e neppure quelle da cui di fatto per aspetti salienti derivava, in particolare da esempi tedeschi, ha decretato un proprio destino d’inconsistenza, ormai da un buon decennio sotto gli occhi di tutti (non soltanto in Italia),
Occorre riaprire un grande confronto, occorre avere il coraggio di rompere pregiudiziali schemi critici, di guardare alla svariata realtà e consistenza di ciò che è accaduto nella seconda metà del Novecento in Italia, Ribaltando così una storia abusiva, che evita riscontri sul terreno della reale ricerca, pretendendo ancora di ammannire mistificazioni imbonitorie, E’ tempo di tornare a riflettere, a pensare, a confrontarsi, come nei primi decenni del secondo Novecento.
In verità c’è chi da molto tempo si batte per tenere aperto il dibattito, per sollecitare a rendersi conto che ciò che conta è altrove, spesso sotterraneo, C’è chi in questi decenni ha lavorato in piena indipendenza, in sintonia profonda con le inquietudini del tempo, facendosi testimone e complice, E’ qui che occorre rivolgere l’attenzione, liberandosi dall’abbrutimento mentale del flashismo artistico, dall’isteria censoria dell’abominevole, dalle mal celate difese d’investimenti d’impresa.
Torniamo a capire che occorre ragionare liberamente, senza pregiudiziali, con aperta curiosità, con disponibilità d’ascolto e di rischio. Riacquistando una capacità di lettura del linguaggio nella sua concretezza, nella sua unicità; una capacità di riconoscere l’identità, la durata, la novità reale. Lo chiede la complessità di quanto è accaduto in questi decenni, anche per trame sotterranee, notturne, certo sul terreno della ricerca, del rischio e non della pianificazione sloganistica, mirata all’esito di mercato, consumisticamente corretto, all’egemonia a breve, inserendosi funzionalisticamente nell’ abusato ed abusivo sistema consumistico dell’arte. Torniamo ad avere il piacere di motivare le proprie scelte, di lavorare appunto attorno ad una possibile identità. Di riconoscerla, di comunicarla nel confronto.
Questo è lo spirito che muove la XXXV edizione del Premio Vasto, che potrà -spero -renderla molto diversa, non celebrativa ma verisimilmente problematica, non quietistica ma sostanzialmente provocatoria, nelle indicazioni, nei confronti, nelle sottolineature, nelle riproposte, nel credito forte riconosciuto a chi regge strutturalmente la scena di questi decenni, fino, transgenerazionalmente, a chi fra i nuovi appare lavorare sul passo del dubbio anziché della routine.
Quest’ edizione vuol essere un segno ulteriore della necessità di aprire gli occhi: l’implosione del sistema del massimalismo consumistico, che riduce l’arte ad intrattenimento e diversivo, è ormai evidente, sotto gli occhi di tutti. Un breve segno d’una possibilità di nuovo dialogo, di nuono più aperto confronto; dunque.
Naturalmente occorreranno altre occasioni, differenti possibilità d’altra ampiezza esaustiva di discorso, ma il dado è intanto tratto, si sappia che la misura è colma, mentre ogni riduttiva pretesa egemonica mostra la corda, dichiara inevitabilmente la propria usura, o peggio svela ineluttabilmente la propria inconsistenza. Mentre a fronte stanno alcune grandi avventure individuali che hanno fatto la storia reale di questi anni, che hanno colto segnali profondi della crisi che tutti ci coinvolge travolgendo ogni identità psicologica, biologica, antropologica, in nome d’una dissennata pretesa di livellamento, di omogeneizzazione, di riduzione a puri replicanti del consumismo più spinto.
Nella prospettiva dell’impegno in tali maggiori occasioni, intanto il XXXV Premio Vasto offre credo utili pur se circoscritte possibilità di confronto piuttosto inusitate rispetto al conformismo della replicanza critica alla quali siamo abituati. Possibilità di confronto fra riferimenti che vanno riconosciuti come forti. Cominciamo a riconoscerli disincatamente, a ripercorrerli, a discuterli.